Santa Maria Donna Rómita

All’epoca di Roberto d’Angiò, vivevano in Napoli tre sorelle, figlie del barone di Toraldo, nobile del Seggio di Nido: Donna Regina, Donna Albina e Donna Rómita. Rimaste orfane attorno al 1320, si invaghirono tutte di Filippo Capece, ma tutte e tre, col cuore infranto, non volendosi far torto a vicenda, decisero di sottrarsi al mondo e di fondare ognuna un convento dove rinchiudersi per il resto dei loro giorni. Così, Matilde Serao, nelle Leggende napoletane racconta la storia delle origini dei tre monasteri napoletani dai nomi tanto singolari.

Il monastero, invece, secondo le fonti, fu fondato da monache greche giunte a Napoli all’epoca delle persecuzioni iconoclaste scatenate in Oriente. La comunità, detta in origine di S. Maria del Percejo di Costantinopoli, o di S. Maria del Percejo delle donne di Romania, o delle donne Romite di Costantinopoli, si trasferì, attorno al 1300, sotto la direzione di Beatrice d’Angiò, dalla prima sede, in cui avevano trovato rifugio in S. Andrea a Nilo, in un palazzo, poco discosto. Dal 1492 le monache brasiliane adottarono la regola benedettina.

A metà ‘500, le monache erano 45 ,erano guidate dalla badessa Eustochia Pappacoda ed erano esponenti delle famiglie della aristocrazia cittadina (Cavaniglia, Caracciolo, Pappacoda, Minutolo, Mormile e del Giudice), collegate, attraverso una complessa rete di relazioni familiari, agli altri influenti monasteri cittadini. A dispetto delle nuove norme emesse dal Concilio di Trento, in Donnarómita le monache continuarono a pagare per ottenere celle private, spesso ornate di stucchi e pitture, considerandole proprio appannaggio da trasmettere alle parenti che sarebbero entrate nello stesso istituto, in un sottile gioco di equilibri e gerarchie di potere all’interno del monastero.

Il complesso monastico si ampliò nel tempo con l’acquisizione di edifici adiacenti, inglobando tra le altre, le Cappelle di S. Biagio, di S. Maria del Termine, dei Ss. Andrea e Giovanni, di S. Andriano (1551), la chiesa e il monastero di S. Giovanni (1551).

Verso la fine del ‘500, il monastero vero e proprio acquistò forma compiuta con la costruzione del Chiostro Grande e quella del Chiostro Piccolo e della Sagrestia, rispettivamente a sinistra e a destra dell’abside della chiesa. Artisti del calibro di Luca Giordano, Luca Simonelli, Francesco De Mura, Donato Massa lo impreziosiscono con le loro opere. Nel ‘700, saranno aggiunti al corpo di fabbrica principale nuove celle, dormitori e altri belvedere, sopraelevando ed ampliando ulteriormente le antiche costruzioni. È del 1762, infine, la nuova porta carraia.

Il monastero venne soppresso nel 1808, durante il Decennio francese. Le monache, però, rimasero in sede fino al 1824, anno in cui si aggregarono alle consorelle di S. Gregorio Armeno. Gli edifici di Donna Rómita ospitarono, allora, prima l’orfanotrofio militare, l’Alta Corte militare ed altri uffici e poi, dal 1863, la Scuola di Applicazione per gli Ingegneri. Attualmente, il complesso, perso quasi del tutto l’aspetto di monastero, ospita il Dipartimento di Chimica Organica e Biologica dell’Università di Napoli Federico II.

a.v.

Fotografie di Massimo Velo


📍Quartiere: Porto, Vico Donnaromita

 ☨  Tipologia: Monastero benedettino

📅 Data di fondazione: VIII secolo, Sopp. 1808

⛪ Regola monastica: Basiliana, poi Benedettina

👩🏻 Fondatrici: Monache greche

👑 Presenze nobiliari: Galluccio, Sersale, Cavaniglia

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