S. Potito
Stando alla tradizione, l’erezione della prima fabbrica del monastero di S. Potito si deve al vescovo Severo e risalirebbe, all’incirca, alla metà del IV secolo.
Situato nella zona dell’Anticaglia, ospitò dapprima i monaci benedettini, per essere poi ceduto alle monache dello stesso ordine che lo abitarono agli inizi del XVII secolo.
Nel 1612, su una popolazione di appena 15 monache, solo otto religiose avevano accettato la riforma tridentina, mentre le altre sette vi si opponevano. In accordo con alcune religiose del monastero di S. Gaudioso, scontente dello stile di vita condotto nella loro casa religiosa, le otto consorelle, che desideravano una vita più austera, si trasferirono in una casa separata per dar vita ad un nuovo monastero dedicato a S. Benedetto. L’intervento del cardinale di Napoli, Ottavio Acquaviva, stroncò definitivamente l’esperienza. Alla fine, le otto monache più zelanti, unitamente a cinque di S. Gaudioso, rimasero in S. Potito, mentre delle sette ribelli, sei si trasferirono in S. Gaudioso ed una in Donnalbina. Solo allora ci si rese conto che la sede dell’Anticaglia, in pieno centro cittadino, era angusta e non adatta a un monastero informato sulle norme tridentine sulla clausura.
Con il consenso di Paolo V, le monache vendettero il loro convento a Camillo Caracciolo, principe di Avellino, ed acquistarono, nel 1615, un palazzo con giardino fuori della Porta di S. Maria di Costantinopoli alla Costigliola, appartenuto a Vincenzo Capece. Per la realizzazione della struttura, i lavori furono affidati a Pietro de Marino, che concepì un chiostro a due ali con funzione panoramica, di cui una rivolta verso S. Martino e l’altra verso il mare; quelli relativi alla successiva ristrutturazione del 1780 sarebbero stati diretti dall’architetto Gian Battista Broggia.
S. Potito fu una vera e propria roccaforte del patriziato cittadino legato al Seggio di Montagna (le famiglie Rocchi, Rossi, Sanfelice, Sorgenti), la cui vita spirituale, molto dovette al predicatore Francesco de Geronimo (1642-1716).
Il monastero, soppresso nel 1808, venne trasformato in caserma militare, mentre la chiesa sarebbe stata successivamente affidata da Francesco I alla Congrega degli Ufficiali del Banco. Il monastero fu successivamente destinato a caserma dei Carabinieri.
a.v.
Fonti
- ADSN, Vicario delle Monache, 317-326 (Esplorazioni 1-424 [1588-1824]; Badesse 1-56 [1659-1823]; Miscellanea)
- ASDN, Vicario delle Monache, Visite ai Monasteri, 471 (20)
- ASDN, Liber Visitationum Monialium, I (Ascanio Filomarino), ff. 49-50v/139-143; II (Ascanio Filomarino), ff. 68-70; III (Innico Caracciolo), ff. 73-76; IV (Giacomo Cantelmo), ff. 26v-30
- ASN, Corporazioni Religiose Soppresse, 2921-3033
- BNN, Ms. XI E 29, ff. 32, 107, 138
- De Stefano, Descrittione, p. 175
- Araldo, Repertorio, p. 192
- D’Engenio, Napoli Sacra, p. 599
- D’Aloe, Catalogo, p. 719
- De Lellis, Aggiunta, Vol. V, f. 25
- Celano, Notizie Giornata, VII, p. 1707
- Chiarini, Aggiunzioni, Giornata VII, pp. 1707. 1846-1847
- Galante, Guida, Giornata XII, p. 406
Bibliografia
- Capano Francesca, San Potito, in Napoli Sacra, XIII Itinerario, Napoli 1996, pp. 780-781.
- Boccadamo Giuliana, Dinamiche di potere e vita comunitaria nella gestione dei monasteri di clausura, in Oltre le grate. Comunità regolari femminili nel mezzogiorno moderno tra vissuto religioso, gestione economica e potere urbano, a cura di Mario Spedicano e Angelo D’Ambrosio, Bari 2001, pp. 77-106.