Matilde Serao

Patrasso, 7 marzo 1856 – Napoli, 25 luglio 1927
Scrittrice, giornalista

Matilde Serao e Napoli furono e restano un binomio inscindibile. La sua vita, la sua infaticabile intelligenza, il suo impegno pubblico meriterebbero di diventare una fiction. Uno di quei film che hanno il sapore della storia, i colori dell’arte e la forza della verità perché è a questo, a tutto questo, che ‘a Signora ha dedicato la sua esistenza. Cronista, lucida e verace, narratrice di talento, anticipatrice di mode e linguaggi, ha raccontato con la sua penna donne, uomini e vicende di un’epoca, la politica, la giustizia, il costume, acquerellando con tratto inconfondibile, la società dei suoi tempi, per tanti versi ancora quella dei nostri. Paladina degli ultimi, amica dei potenti senza mai concedere ad essi indulgenza e sottomissione, donna Matilde resta legata per sempre anche al quotidiano Il Mattino che volle fortemente. Dalle pagine di quel quotidiano raccontò Napoli, la sua, con la volontà impavida di dire la verità e solo la verità. Il suo credo, lasciato in eredità a tutti i giornalisti, lo praticò come una religione, senza mai aver paura di inciampare nell’ira del potente di turno, nemmeno se si chiamava Mussolini:

«Noi denunziamo con sollecitudine il maligno piano del fascio perché i buoni cittadini facciano in un tempo a guardarsi dal pericolo, ciò che il fascio si prepara a compiere oggi non è più impressionare il Parlamento ma è rivolto ad impressionare il Paese».

Lo scrisse e pagò con le aggressioni in redazione, lo riscrisse ancora perché mai paga di fare quello in cui credeva, il giornalismo. «Il giornale – scriveva - è tutta la storia di una società, ha in sé il potere di tutto il bene e di tutto il male, è la più nobile forma del pensiero umano, il giornale dell’avvenire sintetizzerà, dominandole, tutte le energie e tutte le attività di valore. L’avvenire è del giornale». E la profezia di Matilde resiste ancor oggi, nell’era dell’informazione on line, delle notizie false e dell’articolo mordi e fuggi poiché il giornale resta un punto di riferimento, un luogo di riflessione e di conoscenza. Chi era dunque Matilde Serao? Ne fece un breve ritratto la scrittrice statunitense Edith Newbold Jones, nel 1934:

«Ella non cercava di profetare e di predominare: ciò che le interessava era di comunicare con persone intelligenti. Il suo tirocinio di giornalista, prima al Mattino, il giornale di suo marito Edoardo Scarfoglio, poi nel proprio quotidiano Il Giorno, le aveva fornito una rude e pronta conoscenza della vita e un'esperienza delle cose pubbliche, del tutto mancanti alle Corinne da salotto: che ella superava in ispirito ed eloquenza. Aveva un senso agilissimo del fair play, ascoltava con attenzione, non indugiava mai troppo a lungo su di un punto solo ma piazzava le sue battute al momento giusto e volentieri cedeva la parola all'interlocutore. La veemente immaginazione della romanziera, si nutriva anche di larghe letture e d'una esperienza di ceti sociali e di tipi umani fornitale dalle occasioni molteplici della sua carriera giornalistica. Cultura ed esperienza si fondevano in lei nello splendore di un saldo intelletto».

Visse a cavallo di due secoli, ne interpretò la decadenza e la potenza. Di Napoli raccontò vizi e virtù, grandezza e decadenza. Dopo aver vissuto tutta la sua esistenza tra pennini e tasti di macchine per scrivere si spense facendo quello che aveva fatto tutta la vita, lavorando ai suoi articoli. Era il 25 luglio 1927. Ai suoi funerali partecipò la città. La chiesa della Vittoria non poté contenere le migliaia di donne e uomini che portarono l’ultimo saluto alla Signora. La piazza era gremita all’inverosimile. Il popolo, la sua gente, la Napoli che aveva amato e che l’aveva amata, che gridava al suo passaggio “A Signora, passa a Signora!” l’attese fuori, nella piazza, occhi pieni di lacrime, cappelli stretti tra le mani, un fiore, un segno della croce, una preghiera. Centinaia di telegrammi giunsero alle figlie e ai figli, scrissero la regina Elena, i ministri, i deputati, i senatori, scrissero le colleghe e i colleghi, scrisse D’Annunzio che tanto le doveva e a cui tanto era legato. Decine e decine di corone funebri. Non moriva solo una giornalista, una scrittrice, un’intellettuale. Con lei moriva un’epoca di coraggio e passione. Con lei moriva l’ultima espressione di Napoli capitale. ‘A Signora, quella che attraversava la città in carrozzella, salutata e amata, se ne andava trainata dai cavalli neri, dalla folla a lutto lasciando alla sua città un sogno: l’orgoglio dell’onestà.

Nadia Verdile

 

Fotografia di Maritlde Serao
Mario Nunes Vais, Pubblico dominio, via Wikimedia Commons
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