Il Sacro Agire

 a cura di Giovanna Greco

 

 

 

E da quel giorno sulla terra le stirpi degli uomini bruciano le bianche ossa delle vittime sopra gli altari odorosi d’incenso” (Hes. Th. 556)

La memoria sociale di culti e riti devozionali trova, nella pratica del sacrificio, la sua forma migliore per la conservazione culturale. Il rito, già di per sé, è ripetizione di norme e prescrizioni fisse e costanti che si trasmettono per generazioni, contribuendo a formare la memoria culturale della comunità; feste e riti, con la regolarità del loro ripetersi, diventano funzionali alla trasmissione e alla coesione identitaria della comunità.

tavoletta dipinta da Pitsas (Grecia, VI sec. a.C)

 

 

Il sacrificio

Momento culminante della cerimonia sacra è il sacrificio che consiste nel bruciare sul fuoco sacro, le offerte alla divinità. La cornice è quella della festa periodica, lo spazio è quello del santuario, la partecipazione è collettiva. Il sacrificio può essere cruento lì dove centrale è l’uccisione dell’animale consacrato, portato in processione verso l’altare, con tutto l’armamentario funzionale allo svolgimento della cerimonia e con tutto il seguito dei partecipanti al rito; l’offerta arriva agli dei sotto forma di fumo delle carni bruciate; agli uomini è riservata la parte commestibile che si consuma all’interno del rito e dello spazio religioso; il banchetto che ne consegue, dove la ripartizione delle carni avviene secondo determinate gerarchie sociali, sancisce le comuni radici della comunità tutta che si ritrova intorno al rito; diventa così un momento di riconoscimento sociale e di condivisione politica.

 

Il taglio delle carni

 

L’animale destinato al sacrificio è solitamente il bue condotto all’altare con corone e bende sacre, ma sono noti sacrifici triplici dove si immola un bue, un maiale e una pecora.

 

verso l’altare: immagine da vaso attico del V sec.a.C.

 

all’altare , arrostire le viscere: immagine da vaso attico del V sec.a.C.

 

 

 

Atene, Partenone, processione di fanciulle

 

Il sacrificio cruento non è permesso alle donne che sono escluse dalla scena rituale; sono delegate, piuttosto, a portare lo strumentario necessario allo svolgimento del rituale; così le kanephore (portatrici di cesti sacri), fanciulle scelte dall’aristocrazia della città o le portatrici delle vesti ricamate necessarie ad addobbare il simulacro della divinità.

 

 

vaso attico, portatrice di kanoun ( cesto con strumenti per il sacrificio)

 

Nel mondo romano viene sancita espressamente l’incapacità sacrificale della donna. Plutarco (II secolo d.C.) così si esprime: nel tempo antico non si permetteva alle donne né di macinare i cereali né di preparare la carne; questi divieti le escludevano dalla scena del sacrificio cruento.

 

Il sacrificio non cruento è praticato nelle occasioni più varie sia della vita pubblica che di quella quotidiana; sono le immagini dipinte sui vasi o quelle plastiche nei rilievi in terracotta o marmo a raccontare modalità e forme del sacrificio non cruento. Un rilievo votivo da Locri conservato al Museo di Napoli raffigura una figura alata che reca sulla spalla una cassa su cui poggiano un cesto ricolmo di frutti, una melagrana e una benda sacrificale; il riferimento ad un’offerta sacrificale di primizie e frutti è quanto mai esplicito.

 

tavoletta in terracotta da Locri ( V sec.a.C.)

 

Innumerevoli sono le immagini vascolari che raccontano di offerte sull’altare di vino o altri liquidi e sostanze, effettuate con la phiale, la coppa sacra alla divinità o con l’oinochoe, un tipo di brocca utilizzata per attingere il vino dal cratere. Costante è, in queste immagini, la figura femminile nelle più diverse funzioni: porta le offerte, versa il vino sull’altare, prepara le bende o le dispone sull’altare, versa grani profumati sul fuoco acceso sull’ara, porta le vesti, dirige la processione.

 

cratere attico da Spina

 

Nel mondo ellenico

La religione è una delle sfere della vita pubblica più importante e partecipata da tutta la collettività; la gestione del sacro agire con tutto ciò che ruota intorno ad un santuario – basti pensare al controllo delle ricchezze che si accumulavano grazie alle offerte dei fedeli o alle decime delle guerre -  è stata da sempre appannaggio dell’uomo. Tuttavia le donne avevano un loro ruolo sempre costante nella gestione della ritualità e del cerimoniale; vi erano, per altro, feste riservate alle sole donne come le Tesmoforie, celebrate in onore di Demetra.  A Roma, nessun sacrificio pubblico può essere celebrato senza la partecipazione delle Vestali; in numerose feste tradizionali sono le donne ad officiare il sacrificio non cruento: ai Matronalia che si celebravano il 1° marzo sono le donne sposate a celebrare riti e cerimonie nel santuario di Giunone (Hera)

 

Per saperne di più:

  • Louis Gernet: Antropologie de la Grèce antique, Paris 1976.
  • Walter Burkert: Homo necans. Antropologia del sacrificio cruento nella Grecia antica. Trad.it, Boringhieri, Torino 1981.
  • Detienne – J. P. Vernant : La cucina del sacrificio in terra greca. Trad.it. Boringhieri, Torino 1982.
  • G. Grottanelli – N.F. Parise: Sacrificio e società nel mondo antico Bari Laterza
condividi su