Cerula e Bitalia
V-VI secolo
Diaconesse?
Nel ventre della collina di Capodimonte è scavato il più esteso cimitero paleocristiano del Sud Italia e l’unico privo di barriere architettoniche, affidato in gestione, dopo anni di abbandono, ai giovani della cooperativa “La Paranza”: cimitero che prende nome dal vescovo san Gennaro, che ancora nel V secolo, per qualche tempo, vi rimase sepolto.
In questo suggestivo complesso che si sviluppa su due piani non sovrapposti, ricavati nel compatto tufo locale che ha consentito spazi più ampi rispetto ad altre catacombe d’Italia, aleggiano con le relative immagini le memorie dei santi Aspreno, Agrippino e di altri primi vescovi partenopei. Degli altri defunti di questa catacomba, per lo più ignoti, sfuggono all’anonimato – perché affrescati in ricche sepolture insieme ai propri nomi – i coniugi Teotecno e Ilarità con la figlioletta Nonnosa in atteggiamento orante; Eleusino, Cominia con la piccola Nicatiola in preghiera accanto alla più antica rappresentazione di san Gennaro, che altrove compare affiancato dai compagni di martirio.
Dalle cavità e dai meandri di questo luogo sacro risalgo alla superficie stupefatto dalla bellezza e dalla novità (non si conoscono altri esempi) delle immagini di due anziane donne nelle lunette di arcosoli ubicati nel medesimo corridoio. Di esse – oltre ai nomi Bitalia (Vitalia) e Cerula, accompagnate dalla consueta scritta «in pace» – non conosciamo altro se non la datazione al V-VI secolo. Il resto dobbiamo dedurlo dalle immagini stesse. Raffigurate a braccia aperte nel gesto tipico dell’orante, le ricche vesti ne denunciano l’alto lignaggio (quelle nere di Bitalia la indicano come vedova). Dovevano essere anche versate nelle Sacre Scritture, stando ai quattro Vangeli aperti a due a due ai lati con su scritti i nomi degli evangelisti. Inoltre entrambe hanno il capo sormontato dai simboli dell’Alfa e dell’Omega di Cristo.
Particolare poi inusuale, trattandosi di una donna, e che si riscontra anch’esso solo in questa catacomba: il monumento funebre di Cerula – un volto che richiama quelli dei mosaici di San Vitale a Ravenna – si presenta prestigioso anche per le figure degli apostoli Pietro e Paolo dipinte sull’estradosso come a vigilare la defunta. Il “di più” rappresentato da tutti questi elementi, rispetto ad altri defunti, sembra qualificare due donne con funzioni di rilievo in seno alla comunità dei fedeli. Del resto lo stesso san Paolo nella sua lettera ai Romani accenna ad una di esse: «Vi raccomando Febe, nostra sorella, che è al servizio della Chiesa di Cencre: ricevetela nel Signore, come si conviene ai credenti, e assistetela in qualunque cosa possa avere bisogno di voi; anch’essa infatti ha protetto molti, e anche me stesso» (Rom 16,1-2).
«Al servizio», dice l’apostolo, o «ministra»: tale è il significato del termine greco oráxovo, qui applicato per la prima volta nella Chiesa nascente e nel quale si può ben ravvisare, almeno in embrione, l’ufficio delle diaconesse che si sarebbe affermato nei secoli successivi. È accertato, infatti, che nella Chiesa primitiva alcune donne, di solito vedove e attempate, erano incaricate in modo permanente di varie opere di carità e di servizi come vigilare le porte dei luoghi di riunione, istruire le catecumene, aiutare le donne adulte a svestirsi e vestirsi in occasione del loro battesimo, che avveniva per immersione, come pure di assistere le povere, le malate e le isolate. Nel IV secolo fu creato apposta per loro un rito consistente in una sorta di benedizione (è incerto a tutt'oggi se fosse un'ordinazione). Oltre a Febe, si ricordano almeno altre otto di queste diaconesse considerate sante dalla Chiesa cattolica.
Nel riuscire all’aperto, continuano a visitarmi le immagini altamente spirituali di Cerula e Bitalia col sorprendente “corredo” dei quattro Vangeli, quasi a testimoniare la consuetudine di entrambe con la Parola divina. Dove ho già visto una raffigurazione del genere se non a Ravenna, nel mausoleo funerario di Galla Placidia, avvolto dai colori dei suoi preziosi mosaici? In questa meraviglia che risale pressappoco all’epoca in cui vissero Cerula e Bitalia è rappresentato, tra l’altro, il diacono romano san Lorenzo che, croce in spalla, s’avvia al martirio della graticola, oltre la quale le ante aperte di un armadietto lasciano vedere al suo interno i quattro Vangeli con tanto di nomi degli evangelisti. Come non associare questi ai Vangeli di Cerula e Bitalia, che alcuni studiosi ipotizzano siano state diaconesse? Ma anche in caso contrario, dovettero essere donne di fede, laiche al servizio della comunità. E tanto mi basta per sentirle, a distanza di tanti secoli, sorelle.
Oreste Paliotti
Affresco di Cerula, V - VI sec. d.C.
Catacombe di San Gennaro - Napoli