Casa Santa della Nunziata

L’Annunziata

L’origine di quella che è considerata una delle più grandi Opere Pie napoletane, l'Ospedale dell’Annunziata, risale intorno al 1330.

I Maestri della Congregazione della Santissima Annunziata Sopra Muro, tra i quali Nicola e Giacomo Scondito, chiesero a Roberto d’Angiò nel 1318 l’espropriazione di un piccolo fondo sul quale erigere una chiesa e un ospedale. La finalità dell'opera fu segnata da un avvenimento provvidenziale. Al termine di una delle usuali processioni, fu trovato sulla soglia del portone dell’ospedale un bambino, accompagnato da un foglio recante la scritta projectus ob paupartatem («lasciato a causa della povertà»), raccolto da uno dei signori del corteo e affidato alle cure di una balia. L’episodio determinò l’inizio della consuetudine delle esposizioni dei cosiddetti figli della miseria e dall’evento sporadico si passò, in breve tempo, a una prassi che costrinse i membri della Confraternita ad autotassarsi per sfamare i piccoli trovatelli. La popolazione stessa si adoperò affinché si edificasse una piccola sala attigua alla chiesa nella quale si potessero deporre i bambini da affidare alla carità dell’Istituto.

Nasceva la Casa Santa della Nunziata, un complesso che inglobava la chiesa, l’ospedale e l’opera di accoglienza dei bambini abbandonati.

Nel 1343, dietro richiesta della regina Sancia d’Aragona-Majorca, la Casa si spostava, non lontano dal posto originario, in un territorio molto più ampio per far posto alle ragazze del Conservatorio della Maddalena creato dalla stessa Sancia. Il nuovo complesso comprendeva quattro distinti edifici: la chiesa, il Conservatorio, l’Ospedale e la famosa Ruota, nella quale si ponevano bambine abbandonate. Nasceva una vera e propria cittadella che, in breve tempo, riuscì ad organizzarsi autonomamente, provvedendo a tirar su le piccole abbandonate (perlopiù erano femmine) fino all’età che consentiva loro abilità al lavoro o al matrimonio, alloggiandole, nutrendole e curandone l’istruzione. Il Conservatorio fu inizialmente destinato alle sole bambine; solo successivamente si pensò anche a un istituto per i maschi.

L’Opera svolgeva una complessa e dispendiosa attività assistenziale, sostenuta, in gran parte, alla munificenza dimostrata dai sovrani napoletani - come Roberto d’Angiò, Sancia d’Aragona, Giovanna I, Carlo di Durazzo e Margherita sua moglie - che elargirono ingenti donazioni in possedimenti e denaro. Nel 1409, Margherita donò addirittura alla Casa l’intera città di Lesina con il vicino lago e tutti i privilegi spettanti alle baronie. La sovrana che maggiormente si distinse fu però Giovanna II che, oltre a molti altri beni, donò all’istituto la Dogana del sale e possedimenti terrieri in Campania, Puglia e Basilicata; la stessa dispose anche che fosse rivista del tutto la struttura dell’Ospedale, provvedendo personalmente a inaugurare i lavori di ristrutturazione nel 1432.

Crescendo la potenza economica dell’istituzione, si provvide a ramificare il più possibile l’opera di assistenza ai bisognosi attraverso l’istituzione di un Banco Prestiti che se all'inizio non pretendeva interessi, ben presto si trasformò in Cassa Pubblica (1587), perdendo l’originaria esclusiva finalità assistenziale.

Ancora oggi, una volta entrati nel vastissimo cortile, si scorge, a sinistra, la sala della Ruota, comunicante con l’esterno dell’edificio, attraverso la quale, in una culla posta alla base di un cilindro vuoto, venivano lasciati alle cure dell’istituto i figli dei poveri Nella sala interna, si avvicendavano guardiane sempre pronte a raccogliere, ad ogni ora del giorno e della notte, i nuovi arrivati.

L’esorbitante numero di abbandonati testimonia indirettamente le condizioni di estrema miseria in cui versò la popolazione fino a tutto il XIX secolo. Basti dire che nel 1802 il numero delle balie era di circa trecento e che nel 1834, a causa della sempre crescente domanda, si dovette provvedere ad assumerne altre retribuendole. Le donne che si offrivano di allattare gratuitamente godevano però del diritto di scegliersi il bambino da allattare; tutti gli infanti sospetti di malattie e quelli malformati venivano così tacitamente condannati alla morte. La mortalità infantile dentro le mura della Casa era molto alta: il 35 per cento contro il 20 per cento entro i primi due anni di vita in città.

Il centro assistenziale dell’Annunziata operava su vari fronti. Accoglieva malati di febbri putride e febbricitanti non affetti da mali contagiosi o incurabili, curava i feriti d’arma da fuoco o da taglio in una corsia appartata, accoglieva gli esposti attraverso la Ruota e li dava a balia, sovvenzionando, secondo alcune fonti, fino a 8.000 balie per volta. Offriva ricovero ai maschi fino agli 8 anni di età, provvedendo poi ad avviarli ad un mestiere. Custodiva le bambine – da 750 a 1.000, secondo le varie fonti – nel Conservatorio interno alla Casa, fino all’età da marito ed oltre.

Un fenomeno da sottolineare è quello dell’oblatismo presente nel Conservatorio. Pur non essendo monache, le oblate vestivano l’abito bianco e godevano di numerosi privilegi: una piccola stanza, una propria cucina e dieci grani al giorno più sedici once di pane bianco. Avevano sotto la propria direzione le ragazze ospitate e venivano comunemente soprannominate monache denerose, per l’usanza di prestare ad usura denaro alle ragazze del Conservatorio e di esercitare altri commerci.

Fu proprio tale stato di cose a indurre la direzione della Santa Casa a smantellare tale ordinamento sostituendolo con l’opera dell’alunnato. Creato nel 1819, aveva un Regolamento e arrivò ad ospitare fino a 100 ragazze. Il principe di Torelli in persona, Soprintendente della Santa Casa nel 1833, ordinò che tali ragazze fossero poste sotto la guida delle religiose e non più delle oblate.

Per dare un’idea del ruolo sociale svolto dalla Santa Casa della Nunziata, basti solo menzionare quanto riportano le fonti che parlano di più di mille ragazze raccolte nell’istituto e del mantenimento di un numero di nutrici che andava dalle cinquemila alle settemila. L’edificio si articolava in tre piani. Il primo piano ospitava oltre 250 anziane; il secondo il Conservatorio, mentre il terzo le recluse, ossia quelle ragazze che avevano fatto ritorno alla Casa dopo aver condotto vita mondana.

La mancata definizione dei rapporti e delle competenze fra l’intera Opera Pia ed il Banco potrò quest’ultimo ad accollarsi i debiti di tutto il complesso assistenziale, portando nel 1702 al tracollo finanziario dell’Istituto di Credito arrivando alla bancarotta. Nel 1809 le rendite della Casa vennero gestite direttamente dall’amministrazione statale. Si assistette, così, al progressivo ridimensionamento di quello che era stato un pilastro nel campo della pubblica assistenza in Napoli. Il grande ospedale, che in altri tempi aveva potuto accogliere più di cinquecento degenti venne via via dimesso, sino alla chiusura definitiva del 1816. La Santa Casa divenne soltanto un brefotrofio ed il popolo fu solito chiamare i bambini che vi venivano accolti figli della Madonna: un modo di dire che è ancora in uso presso gli strati più popolari.

a.v.


📍Quartiere: Pendino, Via Annunziata, 34

 ☨  Tipologia: Conservatorio e Ospedale per bambine abbandonate

📅 Data di fondazione: 1330

👥 Fondatori: Nicolò e Giacomo Sconditi

condividi su